Avevo 10 anni e mi ricordo tutte le partite di quell’estate di tanti anni fa, la partita inaugurale tra la vincente di quattro anni prima, l’Argentina del nuovo fenomeno del calcio mondiale e il Belgio con un portiere dal nome che ricordava la marca di un purè, vinse come spesso succede 1-0 la squadra sfavorita, quella che in porta aveva il purè. Quella stessa Argentina che ritrovammo nel gironcino dopo le faticose e sofferenti quattro partite iniziali. Con quella partita ci fu la consapevolezza della propria forza, come gruppo e squadra e a capo di quel gruppo un allenatore moderno, capace di caricarsi sulle spalle tutte le polemiche italiche e difendere i propri giocatori mettendoci sempre la faccia e anche la pipa, non era ancora tempo di divieti sul fumo. Poi ci fu quella partita memorabile con il Brasile, quel Brasile che avrebbe potuto giocare e passare il turno anche con un pareggio, ma la vanità brasileira e il narcisismo di una squadra che si credeva superiore costò caro lasciando una nazione intera in lacrime al triplice fischio. La semifinale? Una pura formalità con la Polonia di Zibì Boniek buono solo per giocare in Coppa, “bello di notte” diceva di lui l’Avvocato, manco fosse un gigolò. E poi la finale con la Germania… ecco quella partita non la guardai, proprio la finale, la sera dell’ 11 Luglio 1982. Erano tempi di ristrettezze e da qualche giorno mi ritrovavo in una colonia a Pesaro e non c’era la televisione in quel casermone, solo un altoparlante nel cortile, quello usato per diramare informazioni (“Tutti a lavarsi le mani che il pranzo è pronto e ricordatevi di non bere l’acqua del rubinetto, è salata!!!” Che incubo lavarsi i denti…) attaccato a un palo della luce, c’è il ricordo di quella cronaca radiofonica, con le orecchie ascoltavo, ma con gli occhi la partita la vedevo, minuto dopo minuto (quando l’arbitro fischiò a favore un rigore dissi a un compagno: non c’è Antognoni e Bearzot manda sul dischetto Cabrini, ma gli tremeranno le gambe. Ci presi in pieno). Ma non ricordo i festeggiamenti, se ci furono in quel cortile. Avrei voluto vederla, eccome l’avrei vista la finale della Coppa del Mondo io che passavo tutti i pomeriggi nel cortile della nonna a tirare calci a un pallone, ma non me la sentì di chiamare mio papà per farmi venire a prendere come fece qualche altro bambino, e poi non l’avrebbe fatto. Non ne abbiamo mai parlato, ma sono sicuro che anche per lui la gioia di quella vittoria fu un po’ malinconica avendomi spedito lontano casa sapendo che mi ero perso proprio la finale. Recuperai in seguito, da grande, riguardandomi proprio quella partita, rivedendo gli occhi quasi increduli con l’immancabile pipa di Bearzot e quelli festanti da fanciullo di Pertini. Se ci fosse ancora mio papà, questa sera avremmo potuto vederla insieme per la prima volta.

Da leggere ascoltando Mario Biondi in “If”