Martedì. Pausa pranzo. Causa maledizione di Montezuma che ha beccato la mamma vado a prendere Edo all’asilo. E’ la mia prima volta. C’è sempre una prima volta ed è stato davvero bello. Arrivo puntuale alle 13 e mi ritrovo insieme a una nonna, una mamma e nell’attesa scambiamo 2 chiacchiere. Dopo 5 minuti rispondono al citofono ma il cancello esterno non si apre. Spingi, tira, spingi e tira, ma niente. Entriamo da un ingresso secondario. Ce l’abbiamo fatta. Mi presento alla maestra d’inglese (vuoi vedere che adesso mi interroga?) e mi dice che va subito a chiamare Edo. Sono sicuro che non riuscirò a mettere giù nero su bianco l’emozione che ho provato subito dopo.

Mi ha visto da lontano, era in fondo al corridoio e ha iniziato a correre facendo andare a tutta velocità le sue gambine, l’ho aspettato che finisse quella sua lunga corsa tra le mie braccia e con il sorriso straripante che ha sempre me lo sono coccolato e sbaciucchiato. Mi sono emozionato. Tutti i timori di come avrebbe accolto questa novità sono svaniti in un lampo. Se non ci fosse stato nessuno, se quel momento e quel posto fosse stato solo nostro, non mi vergogno a dirlo, mi sarei commosso, eccome. E’ stata sufficiente una corsa, vedere il viso di Edo che si illuminava, sentire di essere parti diverse di uno stesso corpo per scordarsi immediatamente della stanchezza alla sera condita dai suoi capricci, il suo tono di voce sempre alto (sarà perché ancora non parla), della sua testardaggine, nulla è paragonabile a quel sorriso che a tutta velocità mi è saltato al collo.

A un certo punto siamo rimasti da soli (la vestizione è stata un po’ lunga perchè voleva fare tutto da solo), e nell’asilo c’era silenzio per la nanna degli altri bimbi che si fermano anche il pomeriggio. Ho aspettato la maestra d’inglese che mi ragguagliasse velocemente sulla giornata di Edo (pappa, cacca, se ha fatto il bravo) e poi via da nonni.

Maestra: see you tomorrow Edoardo
Edo: eh, eh (il suo modo di dire SI)
Papà: ??? (non parlerà, ma già capisce l’inglese)