Siamo provati, noi giapponesi, ma non c’è nessuno contro cui scagliarsi, nessuno a cui dare la colpa. La nostra paura è il nostro silenzio, la nostra rassegnazione è la nostra forza, la nostra voglia di continuare è la nostra dignità.

Il Giappone è ancora una volta messo alla prova da una delle più profonde crisi della sua storia . Nagasaki e Hiroshima non bastavano ad affollare un curriculum dei disastri di tutto rispetto. Il terremoto di Sendai ha preso il suo posto in una triste classifica e va ad aggiungersi ad altri eventi come il terremoto di Kobe nel 1995 o l’incidente nucleare di Tokaimura nel 1999.

Ci è stato detto che il resto del mondo è rimasto sorpreso dalla nostra calma e dalle nostre buone maniere in situazioni di questo tipo. Sentire queste frasi ci lusinga e ci rende ancora più orgogliosi di essere giapponesi. Però, per dirla tutta, abbiamo acquisito questa capacità di reagire incosciamente. E’ un processo che si tramanda di generazione in generazione, da genitore a figlio, ed è difficile spiegarlo con parole semplici. La maniera più semplice per farlo è separare i due contesti, calma e buone maniere possono sembrare due componenti integranti del nostro comportamento, ma a essere sinceri sono due realtà ben differenti.

La calma non è nei confronti delle catastrofi  in generale, ma è una nostra reazione particolare ai terremoti. Noi conviviamo da sempre con una terra che trema. I nostri nonni hanno vissuto sulla propria pelle il Gran terremoto di Kobe (Hanshin Daishinsai). Da sempre, la televisione pullula di programmi riguardanti terremoti, i palinsesti abbondano di messaggi educativi su come affrontare le emergenze. Sin dalle scuole elementari, siamo abituati ad allenarci su simulatori a forma di stanza o ufficio che riproducono le condizioni drammatiche di un sisma. Di tanto in tanto qualche piccola scossa ci ricorda che il Gran terremoto o “Dai Jishin” arriverà. A volte, presi dallo sconforto, questi shock ci fanno pensare che la fine possa essere giunta. Ma poi ci rassicuriamo dicendoci che no, la fine non può essere oggi, e non sarà neanche domani. Purtroppo, a quanto ci dicono, oggi la fine è arrivata per più di 10 mila persone. Il “Dai Jishin” è stato qui.

Benché stress e panico a volte ci assalgono, non lo lasciamo mai trasparire. Questo è dovuto al nostro modo di relazionarci coi sentimenti in generale. La nostra mentalità ci dice che manifestare le nostre emozioni può essere di disturbo per le altre persone. In tempi duri, mostrare le proprie preoccupazioni può essere causa di sconforto e agitazione per coloro che come noi stanno vivendo dei brutti momenti e non hanno certamente bisogno di aggiungere ai loro pensieri anche le nostre lamentele.

Quando alle 14 e 46 minuti il terremoto ha colpito Tokyo, noi eravamo nei nostri uffici, ai piani alti dei nostri grattacieli antisismici. Eravamo presi dalla più grande delle angosce, ma nessuna parola è uscita dalla nostra bocca. Eravamo consci di provare le stesse emozioni, e quindi dirle sarebbe stato un clichè inopportuno. Proferir parola avrebbe rotto quell’armonica fratellanza che ci legava in un momento così terribile. Noi giapponesi sappiamo che a volte la cosa migliore da fare  è rimanere in silenzio, e cercare di capire  e di capirci a vicenda, senza l’uso delle parole.

Le nostre buone maniere sono uno dei nostri asset più preziosi. Scaturiscono dalla nostra stessa cultura e dall’educazione che riceviamo a scuola. Non siamo religiosi come la maggior parte delle nazioni occidentali, però abbiamo un forte senso di moralità e una percezione collettiva che spesso è un ben più forte surrogato della religione stessa. Crediamo che ogni comportamento debba avere la propria forma, e il valore che in esso riponiamo è altissimo. Questo nostro modo di pensare è ovviamente influenzato dal Buddismo e dal Confucianesimo. Sin da bambini ci è stato detto dai nostri genitori e dai nostri insegnanti di non disturbare le altre persone perché il sole (Otentosama) ci sta guardando e se ne accorgerebbe.

Il nostro valore più alto è l’armonia (wa). Ogni persona quindi deve comportarsi non solo pensando a se stesso ma anche preoccupandosi di non rompere questo cerchio di armonia che ci sovrasta e ci unisce. Ed è per questo che quando i turisti visitano il nostro paese si sorprendono nel vedere che non c’è mai nessuno che salta la fila, seppur queste file a volte diventino lunghissime. E’ per lo stesso motivo che, sebbene il paese oggi sia in ginocchio per il terremoto, non vi sono stati saccheggi o rapine, e la vita seppur con difficoltà continua, o almeno prova ad andare secondo la norma.

Un’altra ragione per cui viviamo in armonia è perché la coesione sociale è estremamente forte. In Giappone non esistono persone troppo ricche o troppo povere, viviamo bene o male quasi tutti all’interno della cosiddetta classe media. Godiamo tutti di un ottimo sistema sanitario, educazione di primo livello e abbiamo dei salari pressoché dignitosi, che ci permettono di godere di una vita, seppur a volte stressante, per la maggior parte delle volte agiata.

La rabbia sociale è perlopiù sconosciuta, ed è per questo che in situazioni di emergenza non siamo inclini a comportamenti avidi o opportunistici. Ancora una volta, la tragedia che oggi stiamo vivendo ci ha dato l’opportunità per ritrovare quel senso di fratellanza che ci unisce e ci fortifica in questo cerchio di armonia.

Ayako Hattori

24 Marzo 2011 – Panorama