Nella mia rubrica telefonica del cellulare ho salvato un numero con il nome “Piazz”, ma il Piazz che ho io è il papà di Gabriele, un ragazzo fuori dal comune, in tutti i sensi, sia sui campetti di basket di Milano sia nella vita.

Il giorno del matrimonio è passato a salutarmi, stesso pianerottolo, bastava mettere fuori la testa da casa lasciandomi con la promessa che sarebbe passato: non l’ha fatto, ma era fatto così. Un anno dopo Gabriele decideva di andare a giocare a pallacanestro su altri campi.

E’ vivo ancora in me il ricordo dell’estate trascorsa in Sicilia con la sua spalla operata seduto in riva al mare, il volto triste, avrebbe voluto trovarsi semplicemente con un pallone in mano da un’altra parte.

Uno dei miei pochi rimpianti… non averlo mai visto giocare! Uno giocatore così straordinario avrebbe meritato.

Un libro di Daniele Vecchi (“HEROES – Eroi del playground persi per strada”) dedica un capitolo a Gabriele, forse il più bello e toccante e non solo perché lo conoscevo e non solo perché conosco i suoi genitori o sua sorella, ma solo perché Gabriele è uno straordinario ragazzo.

«Ci sono persone che lasciano il segno. Lasciano il segno su qualsiasi persona con cui vengono a contatto, lasciano il segno sull’ambiente circostante, si sente la presenza, si sa che quella persona c’è, o c’è stata, o ci sarà sempre, in quell’ambiente, in quel determinato ambito. Un segno indelebile, anche se queste persone si conoscono di sfuggita, se si vedono anche solamente una volta, anche se non ci si parla, anche se magari si è abituati a vederli in giro, nei locali, per la strada, su qualche foto sul giornale, si sa che esistono, si sa che ci sono, e basta, si danno per scontati. Gabriele Piazzolla, un ragazzo solare, uno di quelli che lascia il segno, un segno indelebile. Un gran bel ragazzo, una mancata carriera di modello, un talento cestistico fuori dal normale. Il Piazz, tutti lo conoscevano così, nei vari campetti di Milano, nelle varie squadre dove ha giocato, Gabriele era il Piazz, l’incontenibile, immarcabile, esuberante, esaltante Piazz. Il Piazz contro il Pozz.
One on one.
Uno contro l’altro al playground di Via Dezza, o al Sempione. Che sfida sarebbe stata. Se solo Gianmarco Pozzecco quella sera all’Hollywood avesse accettato, se solo avesse raccolto il guanto della sfida lanciatogli da Gabriele Piazzolla in quel luogo trendy così lontano migliaia di anni luce dallo spirito di divertimento e di competizione che animava Gabriele Piazzolla, se il Pozz avesse detto “ok, posto e ora, fammi vedere cosa sai fare”, la sfida sarebbe andata in onda, e molti degli ex-compagni di squadra o di campetto di Piazz erano e sono ancora tuttora pronti a scommettere che per il Pozz non sarebbe stato così facile, anzi, sarebbe stata durissima, sarebbe forse anche stata una sconfitta…..

…Classe 1981, Gabriele Piazzolla era un ragazzo che amava e rispettava il gioco, un entusiasta del mondo, un generoso, un amico fraterno, un sorriso sempre pronto a rincuorarti, una parola dissacrante che sdrammatizzava una situazione pesante, un genuino, un ragazzo vero e una persona vera, di rara intelligenza, un genio e uno sregolato, nel senso più bello, positivo e affettivo del termine. E giocava, giocava che era un piacere vederlo. Ti entusiasmava fin dal primo momento in cui lo vedevi muoversi con il pallone in mano. Il Piazz non faceva un passo indietro. Il Piazz spaccava. Un metro e ottantatre centimetri di altezza, un fisico compatto, agilissimo e con una esplosività intrinseca impressionante, un ball-handling che blindava il pallone, una partenza bruciante sia a destra sia a sinistra, una varietà di soluzioni offensive infinita,…»

Dal capitolo dedicato a Gabriele Piazzolla, il re del playground milanese, scomparso il 23 maggio 2006 a 25 anni.

Da leggere ascoltando Sting in “Fields of gold”